Causa tra la Società anonima dell'Acqua Pia e l'impresa Nègre per i lavori di riconduzione dell'acqua Marcia a Roma (1869 - 1891)
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Storia archivistica:
La documentazione sull’Acqua Marcia conserva le carte relative a due cause. La prima concerne le controversie insorte fra la Società anonima dell’Acqua Pia e l’impresa Nègre per i lavori di riconduzione dell’acqua Marcia a Roma, appaltati in data 16 maggio 1868. La questione riguardava la valutazione delle varianti eseguite dall’impresa per la costruzione dell’acquedotto ed i relativi costi. A tale scopo, nel 1871, la Corte d’appello di Roma nominava un collegio di periti (formato dagli ingegneri, Luigi Gabet e Carlo Gregori e Francesco Armellini, poi, sostituito da Andrea Bracci), di cui si conserva una copia della relazione depositata in tribunale nel gennaio del 1872 che dichiara il Nègre creditore nei confronti della società dell’Acqua Marcia per tutte le opere che costituivano una sostanziale variante del progetto originario. La relazione dei periti venne, però, considerata inattendibile dalla parte soccombente, che ne chiese la revisione, insieme all’annullamento della sentenza. Esaminata la questione, il 20 dicembre 1872, la Corte d’appello di Roma decise di accettare la richiesta di revisione, affidandone l’incarico a Francesco Brioschi, Luigi Tatti e Giovanni Davicini. La relazione dei nuovi periti venne presentata in data 17 novembre 1873, e da essa si evinceva un aumento di L. 382.356, 47 sul contratto di base, a carico della società dell’Antica Pia. Successivamente, con sentenza del 5 luglio 1876, la Corte incaricò Francesco Brioschi di procedere ad accertare i pagamenti effettuati dalla Società ed approfondire alcuni punti relativi alla perizia del 1873. La sua perizia (11aprile 1877), che accresceva il credito del Nègre, venne, però, considerata incompleta e lacunosa dalla Corte che invitava ripetutamente il Brioschi a precisare con opportuna documentazione i risultati conseguiti. La seconda causa riguarda, invece, la controversia fra il principe Carlo Massimo e la Società dell’Acqua Pia (Antica Marcia). Quest’ultima, con decreto 8 novembre 1865 aveva ottenuto dal Ministro pontificio la concessione per i lavori di riconduzione dell’acqua Marcia a Roma, ed insieme ad essa ogni diritto spettante al Governo sulle sorgenti delle acque intorno al lago di S. Lucia, nonché le sorgenti dell’Acqua Augusta, e l’autorizzazione ad espropriare i terreni interessati dalle opere. Tale disposizione produsse numerosi reclami fra cui quello del principe Carlo Massimo, dichiaratosi proprietario del lago di S. Lucia. Il Consiglio di stato, in data 28 agosto 1870, accolse la posizione del principe. Di conseguenza, la Società decise di apportare una variante al progetto originario, ritenendo preferibile sfruttare un’altra sorgente in luogo di quella di S. Lucia. Contemporaneamente il principe abbandonava la causa. Dieci anni più tardi, quando l’affare della conduzione dell’Acqua marcia a Roma si stava rivelando particolarmente redditizio (la città era divenuta capitale del Regno ed aveva conosciuto un notevole sviluppo demografico ed edilizio), il principe decise di riprendere la vertenza avviata nel 1869, chiedendo il pagamento di una cospicua indennità per l’espropriazione del lago. Con sentenza del 31 dicembre 1880 il Tribunale civile di Roma riconosceva come valida la pretesa del principe, incaricando i periti Ildebrando Nazzani, Innocenti e Piccirilli a valutare l’importo dovuto dalla Società. Al contrario, quest’ultima si diceva convinta che nulla fosse dovuto, considerato che l’espropriazione non era di fatto avvenuta. In ogni caso, i periti, con relazione del 14 novembre 1884, liquidavano l’indennità dovuta al principe Carlo Massimo in poco più di ventimila lire. Nonostante la disponibilità della Società a pagare, il principe rifiutò l’offerta e, nuovamente, abbandonò la questione per riprenderla tre anni dopo. Nel maggio 1888, il Tribunale dispose, quindi, una nuova perizia, affidandola all’ing. Giuseppe Olivieri e a due agronomi, Cesare Salini e Alberto Vagnuzzi. Questi valutarono il prezzo da corrispondersi al proprietario del lago nella somma di unmilione e ottocentomila lire e, ancora una volta, il principe ritenne tale somma inadeguata. Una nuova sentenza, in data 13 agosto 1890, fissava, quindi il prezzo in L. 602.458. Sia il principe che la Società decisero di impugnare la sentenza, considerandosi insoddisfatti. Con sentenza 26 maggio – 6 giugno 1891, la Corte d’appello incaricava di una nuova perizia Francesco Brioschi. Della perizia del Brioschi non rimane, però, alcuna testimonianza ed il suo impegno in questa causa, oltre che dall’atto di notifica per la fissazione della data del giuramento, è rivelato esclusivamente dalla documentazione a lui inviata dalle parti.
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